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Le Opere

I due “giudizi  critici” del mese di Marzo/Aprile 2017, esprimono pienamente il percorso della “ricerca artistica” perseguita da Raf.

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Elisabetta Bodini per il Premio assegnato ad un lavoro risalente agli anni sessanta alla Mostra  “LA NUOVA” TAVOLOZZA D’ORO, Villa Camperio – Villasanta (MB), 18-26 Marzo 2017 per la Sezione oli/acrilici ha espresso la seguente Motivazione: ”per l’opera figurativa in cui accosta un buon uso della tecnica del chiaroscuro all’originalità della composizione , tradizionale, ma poetica”.

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Malu’ Lattanzi all’inaugurazione della Mostra collettiva “LA MATERIA E IL COLORE” , Desio Villa Cusani Tittoni, 8 aprile 7 Maggio 2017, commentando due recenti lavori,  dice : ”Città e forme geometriche che esplodono sommerse sotto l’esplosione di colori contrastanti o appena annunciate da pagine di quotidiani. Questo il risveglio del mattino di luce e speranza che ti pervade osservando le opere di Raffaele Dragani. Forme che strappano la tela per fissare solo colori forti”.

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Ed ancora  Elisabetta Bodini nell’introduzione della Personale DALL’ORDINE VERSO IL CAOS, Villa Camperio - Villasanta (MB), 21-29 Ottobre 2017,  scrive:

 

“Raf Dragani:  un percorso stilistico

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 Molti si chiedono come e attraverso quali meccanismi (della mente o della mano) avvengano o siano avvenuti, anche per i grandi del passato, i cambiamenti di stile, di tecnica, di composizione che hanno decretato apparentemente semplici passaggi dal figurativo, al destrutturato, all’astratto.

 Qualcuno ritiene questa transizione una comoda scappatoia verso la semplificazione e la rapidità di esecuzione (manca ormai il lavoro di “lima”, la fatica,  secondo Marangoni); altri pensano  sia una questione di adeguamento alla moda e al mercato, mutevole e ondivago, dell’arte; qualcuno è convinto che ogni individuo ( mutando per natura tutte le proprie cellule ogni sette anni circa), diventa in realtà altra persona, pur rimanendo se stesso, ma con una visuale di sé e del mondo  completamente diversa, quindi con un diverso modo di rappresentare e di rappresentarsi la realtà.

 Personalmente ritengo che tutte le tesi, in parte, possano essere accolte in quanto, può essere accettabile che la semplificazione dell’esecuzione renda molto più immediata la traduzione di emozioni e sentimenti attraverso il colore e il tratto grafico: questo non significa “fare meno fatica”, anzi, può richiedere un maggiore sforzo nella velocizzazione del classico percorso dall’occhio che vede, al cuore che ascolta, al cervello che elabora, alla mano che esegue …  (pensiamo a quanto si modifica la grafia quando si fa frettolosa, per consentirci di tradurre in segno i pensieri  che  si affollano alla mente e rischiano di dissolversi rapidamente nella labilità della memoria!)

 De resto è vero anche che fare arte significa guardare l’arte, operare confronti e critiche, obbligarsi a scelte di gusto e a selezione di emozioni, quindi è credibile anche che possa avvenire una più o meno inconscia “contaminazione” del proprio stile, della propria linea di condotta artistica o addirittura  dell’impulso a provare  ad intraprendere strade diverse, solo per il gusto di mettersi alla prova o per la curiosità di cercare nuove emozioni davanti alla tela bianca.

 

E’ vero infine, che “crescendo” (e tutti i viventi “ cambiano”, pur rimanendo apparentemente sempre simili a se stessi), maturano, invecchiano, si modificano fuori e dentro, quindi è naturale, e connaturata all’essere pensante, la spinta verso una mutazione di scelte, di ricerche, di sforzi, ma anche di interessi e di gusti.

Picasso sosteneva di aver lavorato tutta la vita per imparare a dipingere come un bambino, ovvero tornare alle origini del segno, e alla purezza semplificata dell’immagine sia mentale che iconica.

Infine, a tutte le considerazioni che ho mutuato da critici e storici dell’arte, vorrei aggiungere una riflessione personale:  le passioni e le pulsioni, compreso il bisogno di creare qualche cosa (immagini, scritti, pensieri, invenzioni , idee) spingono ogni uomo a uscire da se stesso per andare verso gli altri, e, in qualunque modo lo faccia, nel momento in cui ottiene il risultato di  farsi “ascoltare”, con le orecchie, con la mente o con le emozioni, ha raggiunto il proprio scopo.

 

Direi che Raf  Dragani lo scopo lo raggiunge sia attraverso  la classicità composta e tranquilla delle sue figure, sia attraverso la scelta delle sue geometrie graffianti, come attraverso l’uso a volte cauto e ponderato a volte violento e materico del colore unito alle alternative di materiali dalla concretezza labile come la carta stampata (cosa esiste di più labile e di più concreto della parola?) o allo spessore pesante del gesso o del cemento che unisce al senso di materialità del colore lo spessore tridimensionale della materia.”

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